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Aikido

Aikido

“Se non diciamo qualche cosa che a qualcuno dispiace,
non diremo mai la verità”.
(Da un insegnamento Zen)

Tutte le strade portano… all’uomo.

Qualsiasi analisi noi facciamo sulla natura, sullo spazio, sul micromondo, sulle società ci riconduce all’uomo: a quest’essere infinitamente piccolo ma grande nella sua complessità.

Addentrarsi quindi nella sua sfera interiore costituisce sempre un’incognita, un rischio ma pur sempre un’avventura.

Tradizionalmente si dice che lavorare faccia bene alla salute.

Pur considerando che le tradizioni danno, in genere, la garanzia delle cose sperimentate, dubito che l’asserzione sopra riportata rispecchi una verità.Il lavoro, com’è oggi concepito (in particolare quello subordinato), crea solo dei disturbi.

Tensioni, conflitti, alterazioni mentali, abulie, alienazioni, frustrazioni, nevrosi provengono quasi totalmente dal lavoro, da questo compito al quale l’uomo è costretto ad assoggettarsi per trarne gratificazioni economiche e psichiche, ma mezzo con il quale ogni essere vivente, oltre a provvedere alla propria esistenza, può ampliare le proprie idee e conoscenze, fare valere le proprie credenze e mantenere i propri affetti.

L’unica libertà, forse apparente, che allo stesso rimane, è stabilire la propria scala di valori.

Ovviamente questa “libertà” non va intesa come l’assenza di necessità o di costrizioni, ma come la conoscenza e l’accettazione degli stessi.
Solo dopo questa presa di coscienza l’essere cresce e diventa autonomo.

Si definisce autonomia personale, quello stato interiore mediante il quale il soggetto si sente nella possibilità di affrontare con sicurezza la sua esistenza, anche se affrontare non è sinonimo di superare.

L’insieme delle relazioni che il soggetto stabilisce, i suoi sentimenti, gli obiettivi, le sue conoscenze, gli permettono una certa sicurezza e quindi la possibilità di essere psichicamente più sano e meno nevrotico.

La capacità di sicurezza personale, tuttavia, non nasce con noi. Si acquisisce con il tempo, con la possibilità di usufruire dei propri spazi liberi, per sviluppare la propria creatività e la propria capacità di godere della vita.

Quasi tutte le religioni hanno cercato, nei secoli, di enfatizzare i concetti di sacrificio, di sforzo e di austerità, considerandoli valori positivi, mentre negativi dovevano essere tutti quelli che producevano piacere.

Poche sono le filosofie che hanno cercato invece di potenziare e anche di mitizzare la capacità del singolo di provare piacere in questa vita.

Quest’ultima capacità è, nella realtà, l’unica a dare un senso ed un contenuto al tempo libero, a porre in grado cioè l’uomo di godere di ciò che lo circonda e trarne così giovamento.

L’aikido non è una dottrina; è un metodo di ricerca psicosomatica, nel quale l’esercizio fisico tende a disporre la psiche ed il fisico stesso ad una apertura, ad una disponibilità verso il prossimo, procurando piacere dalla percezione di energie psicofisiche che diventano, con il tempo, sempre più forti.

La differenza tra l’aikido e le principali altre arti marziali, sta nel fatto che, l’esercizio è un continuo sforzo di disponibilità più che di azione.

II risultato è un piacere dell’agire in unione, dell’agire immediato, dell’apprendimento di movimenti accompagnati da una intenzione dinamica personale, dell’applicazione pratica di leggi fisiche semplici, in altri termini del piacere dei sensi.

Nelle altre arti marziali, quelle competitive, il piacere è invece mediato dalla sola soddisfazione della vittoria. Parlare così di aikido come un’arte marziale potrebbe sembrare un controsenso, dato che esso rimanda più a voci interiori che ad istinti di aggressività.

Il controsenso potrebbe essere invece quello di considerare gli sports da combattimento come arti marziali.

Le arti marziali competitive infatti, nella misura in cui si vedono come sports, non possono essere isolate dal fenomeno sportivo in genere.

Judo e Karate, ad esempio, non differiscono oggi, nelle loro forme esteriori, dal rugby, dal football, dalla lotta greco romana, dalla boxe ecc…
Anche questi ultimi rivelano dei contenuti che sono pieni di simbolismi guerrieri: le vittorie e le disfatte, i vincitori ed i vinti, la dominazione, la lotta. Non mancano neanche regole di comportamento, di disciplina, di condotta e di rispetto. Ma tutto questo non ci induce a considerarle arti marziali.

Le arti marziali, alle loro origini, si distinguevano dalle altre forme di lotta, perché non contemplavano la competitività.

Erano infatti il risultato di un momento socio-politico-religioso, tendente a creare un metodo per unificare le energie fisico-psichica e morale dell’uomo, al fine di utilizzarle positivamente per la collettività.

Non aggressività, ma padroni delle proprie azioni; rispetto per il prossimo, ma anche di se stessi; altruismo, comprensione, sincerità ed onestà senza codardia o servilismo.

La marzialità era quindi il rigore interiore, la virilità e la coerenza delle proprie azioni, non certo l’agire del combattimento fine a stesso.

Tutto ciò però è venuto meno, nel momento stesso in cui esigenze sportive avevano fatto deviare gli orientamenti originari.

L’aikido è forse l’unica, tra le arti marziali più conosciute, a non avere la competitivita e ad essere ancora ben radicata alle vecchie tradizioni della cultura, delle abitudini, dei costumi, in altre parole, della vita giapponese.

Ecco, perché è indispensabile l’approfondimento filosofico, oltre che tecnico, nell’apprendimento dell’aikido.

Nella misura in cui noi riusciamo, attraverso l’esercizio di quest’arte di difesa, ad aprirci, a non avere paura, a lasciare consapevolmente che un altro individuo agisca su di noi, a quel punto noi vediamo le sue strutture, percepiamo le sue energie, le sue tensioni, la sua vitalità, il suo dolore, i sentimenti inespressi e… lo conosciamo.

Da quel momento inizia lo slancio nella direzione di crescita, una maggiore disponibilità verso il prossimo, una visione diversa del mondo che ci circonda, la scoperta di assopiti valori spirituali, l’acquisizione di nuove qualità mentali, una più serena visione dei problemi umani.

Qualcuno potrebbe obiettare che per elevarsi spiritualmente e migliorare se stesso non ci sono solo le arti marziali e l’aikido in particolare.
La non competitività inoltre potrebbe nascondere paure di confronto con altre discipline, o mascherare incapacità di combattimento degli
istruttori.

Per migliorare se stessi è necessario che permettiamo alla nostra coscienza, al nostro Io, di espandersi, per avere una visione diversa, più obiettiva, più consapevole, del mondo che ci circonda.

Questo si può ottenere certamente anche per vie diverse dalle arti marziali ( lo yoga, la meditazione, la preghiera, l’astrazione ecc.).

Ciò che l’aikido insegna, tuttavia, sono metodi per canalizzare l’energia (interna e cosmica), affinchè si crei nell’essere una fluidità, senza la quale difficilmente potremmo permettere in noi dei cambiamenti.

Quando l’energia necessaria alla vitalità’ dell’ essere non riesce a fluire è perché vi sono dei disturbi, a livello di sistema nervoso centrale, detti di sovraccarico.

A puro titolo di esempio si può dire che un dolore di denti manda nel nostro sistema nervoso degli impulsi costanti, occupando spazio e tempo. Tali impulsi disturbano il sistema stesso con un sovraccarico di attività che impedisce la chiara ricezione di altri avvenimenti.

C’è quindi un impedimento, un contrasto fisico o emozionale, che impedisce un libero transito del fluido. L’essere quindi si piega in se stesso, si irrigidisce, si blocca, non riesce a trovare la via della sua libertà.

La nostra cultura, con i suoi innumerevoli stimoli, sovraccarica il nostro sistema nervoso. Radio, televisione, cinema, pubblicità, telefono, onde elettromagnetiche, luci, rumori, radioattività ecc. alterano i nostri campi di energia.

Le antiche tradizioni dell’aikido, che erano probabilmente valide nel loro tempo, possono servire ancora all’uomo d’oggi?

Alcuni sociologi si facevano la stessa domanda in merito ad altri aspetti della vita orientale. Che cosa spinga, ad esempio, l’occidentale a praticare lo yoga, lo ahiatsu, l’agopuntura o più semplicemente a studiare la filosofia indiana o la cerimonia del the.

La maggior parte delle nozioni psico-filosofiche dell’aikido mal si adattano allo stesso giapponese medio dei nostri giorni, che non le recepisce, perché nella vita quotidiana è spinto verso altre cose, che lo distolgono da quell’intimità con le forze naturali, che sono sempre state importanti per la sua e la nostra esistenza.

Siamo così in presenza di una crisi di valori sociali.

L’occidente è alla ricerca di valori nuovi che possano sostituire quelli che, per effetto della crisi sociale, sono stati messi in discussione.

Le vecchie tradizioni che, come già detto, danno la garanzia delle cose sperimentate, riaffiorano ed assieme alle stesse riemerge ” l’uomo”, con il suo corpo ed i suoi desideri di libertà, di spiritualità di assoluto.

L’aikido si presenta così come un’arte di difesa tecnico/filosofica da sperimentare.

Circa la non competitività di quest’arte, non è perché non riesca a forgiare validi atleti nello spirito e nel corpo, tuttaltro!

Essa desidera unicamente, nel suo agire, tramandare lo spirito con il quale sono state create le arti marziali: il mantenimento della pace e dell’armonia con il prossimo, il rispetto e l’amicizia tra la gente, l’amore per la natura.

É un errore psicologico, comune ed esteso, prendere alla lettera le parole “arti marziali”, vedendo in esso solo l’esteriore: la lotta, la capacità di vincere materialmente, il corpo a corpo.

Nell’aikido, l’aggressività – insita in ogni essere vivente – viene sublimata e trasformata in arte della calma, dell’autocontrollo (che sono già vittoria), favorendo un’unica”lotta”, quella sul piano politico-sociale.

I danni provocati dalla società contemporanea provengono meno da aggressioni corpo a corpo che da aggressioni psicologiche ( lavoro, ambiente, insicurezza esistenziale, crisi ecc).

Quest’arte di difesa, con i suoi propositi e le sue fratture sia con l’universo culturale occidentale che con quello giapponese moderno, può permettere all’uomo di ritrovare sé stesso, di gioire dei suoi sensi, di farlo sentire libero.

Questa è la ricchezza dell’aikido.

L.P.